Quando ho cominciato a lavorare con l’argilla,  ero  molto attratta dallo studio della forma.

Utilizzando tecniche come il colombino, la sfoglia e gli stampi di mia realizzazione, ottenevo forme semplici o risultato di assemblaggi più complessi.  Preferivo lasciare alla terracotta il fascino dei suoi colori naturali, in quanto gli effetti cromatici e tattili della maiolica tradizionale  non mi emozionavano.

Questo mi ha indotta  a trascurare il colore fino a momento in cui la mia ricerca si è rivolta verso possibili materiali che, oltre a soddisfarmi cromaticamente, creavano un corpo unico, il più possibile fuso con il materiale sottostante.

A tal fine ho cominciato a sovrapporre  argilla ad argilla creando engobes e stendendoli in  spesse colate, che venivano  lavorate successivamente con attrezzi improvvisati come legni, cortecce, sassi ecc.

I colori erano sempre quelli della terra, arricchiti di nuove tonalità  e, cosa più importante, il lavoro sembrava finalmente acquistare rilievo e matericità.

Quando la mia esperienza si è arricchita con l’apprendimento di nuove tecniche , quali il raku e altri tipi di cotture riducenti, sono finalmente riuscita ad ottenere la completa fusione tra materia e colore.

Ho cominciato a creare smalti instabili  per avere effetti variabili, a volte incontrollabili,  lavorando su forme preesistenti, che avevano come unico scopo quello di fare da supporto ad un colore che  finalmente acquistava  fluidità, come magma in movimento

Abbandonando la  forma ho cercato un’espressione più immediata nella realizzazione di lastre su cui imprimere e sovrapporre tracce, nelle quali il colore si depositava, creando effetti ogni volta diversi, nell’affascinante tentativo di ripercorrere e fissare, come sulla pagina di un libro, l’originario cammino della storia della terra